Fu costruito in tre anni, tra il 272 e il 269 a.C quarant’anni dopo il primo (l’acquedotto Appio), con i proventi del bottino della guerra vinta contro Taranto e Pinto, l’acquedotto Anio Venus fu il primo dei quattro che utilizzarono le acque dell’alto corso dell’Aniene. Ebbe l’appellativo di “vecchio” (vetus) solo quando fu costruito il secondo che utilizzava le stesse sorgenti (Anio Novus).

L’ Anio Vetus ebbe il merito di portare a Roma acqua abbondante da una regione tanto lontana e in un’età così antica e per questo risentì di una scarsa esperienza costruttiva; inoltre dal momento che l’acqua proveniva direttamente dal fiume, d’estate soffriva di una forte perdita di portata mentre nella stagione delle piogge l’acqua si intorbidiva facilmente.

Per questi motivi in età imperiale finì per essere destinato prevalentemente all’irrigazione e all’alimentazione delle fontane di ville e giardini. L’acqua veniva presa all’altezza del XXIX miglio della via Valeria presso la confluenza del torrente Fiumicino nell’Aniene. La lunghezza dell’acquedotto era di circa 63,500 Km: il percorso era molto lungo perché nell’attraversamento delle valli fu evitata la costruzione di ponti o viadotti. Lo speco, in blocchi di tufo e “soffitto” a capanna era quasi tutto sotterraneo; la portata era di circa 2111 litri al secondo, 182 mc al giorno dei quali però molti venivano dispersi o abusivamente prelevati.

All’interno dell’area urbana di Roma l’acquedotto proseguiva sempre in sotterranea aggirando con la grande curva l’Esquilino in direzione della zona di Termini superando le mura repubblicane presso piazza Manfredo Fanti e finiva con il castello all’altezza della porta Esquilina delle mura repubblicane, l’attuale Arco di Galliano dov’è la chiesa di San Vito. Provenendo da una zona molto alta l’acqua poteva essere agevolmente distribuita in molti luoghi. L’acquedotto Anio Vetus fu sottoposto a numerosi interventi di restauro nell’età imperile e ultimamente, nel 1965, l’intera porzione centrale di tre doppie arcate è crollata mentre una quarta arcata doppia adiacente a quella crollata è stata abbattuta perché pericolante.

fonte:
Romolo Staccioli – Gli acquedotti di Roma antica –  ed. Newton