La genesi del Monte Testaccio è in stretta connessione con la vicina presenza del Tevere che era utilizzato come via fluviale per il trasporto delle merci.
E’ infatti nel rapporto tra il fiume e la vasta pianura a sud dell’Aventino che va inquadrata la scelta, verso la fine del terzo secolo a.C., di creare un nuovo porto fluviale poiché il primitivo approdo presso l’isola Tiberina si rivelò del tutto insufficiente per fronteggiare le nuove esigenze del mercato urbano.
L’espansione territoriale romana realizzata con le guerre di conquista e il conseguente incremento di commerci, insieme al forte sviluppo demografico della città, rendevano necessaria la creazione di un nuovo scalo dotato di adeguate infrastrutture commerciali; l’area ai piedi dell’Aventino offriva, oltre alle ampie zone non edificate, anche il vantaggio di un collegamento diretto con il polo marittimo della città.
Nel 193 a.C. i censori Emilio lepido ed Emilio Paolo costruirono in questa zona, sulle rive del Tevere, l’Emporioum, uno spazio funzionale allo scarico e allo smistamento delle merci e delle materie prime che, arrivate via mare a Ostia, risalivano il Tevere su chiatte. In prossimità dell’Emporium fu realizzata la Porticus Aemilia un grande edificio a 7 navate lungo quasi 500 m. adibito allo stoccaggio delle merci. Questa destinazione è stata recentemente messa in discussione dall’ipotesi di identificare, nella fase originaria di questa imponente struttura, la darsena delle navi da guerra (navalia).
Con l’intensificarsi delle relazioni commerciali si vennero a concentrare nell’area diversi magazzini (Horrea) tra i quali si ricordano i Sempronia, i Lolliana, i Seiana e gli Aniciana. Tra questi i più importanti erano senza dubbio gli Horrea Galbana (gli Horrea Galbana erano più anticamente noti come Horrea Sulpicia , in quanto sorgevano sulla vasta proprietà terriera della famiglia Sulpicia), costruiti dal console del 188 a.C. Sergio Sulpicio Galba.
La diretta conseguenza dell’intensa attività mercantile svolta nel quartiere e la formazione del Monte Testaccio dove, a partire dall’età augustea, si accumularono i frammenti ceramici dei vuoti a perdere ovvero delle anfore che, svuotate del loro contenuto, venivano ridotte in frantumi e smaltite in una vera e propria discarica divenuta nel tempo una collina artificiale delle proporzioni che oggi vediamo.
fonte:
Testo tratto dalla tabella del sito a cura della Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali